Eccoci arrivati alla seconda parte della (dis)avventura in Georgia. Come ho già spiegato nel post precedente, metto il prefisso “dis” tra parentesi, perché fortunatamente stavolta non abbiamo incontrato sfortune particolari, solo tante situazioni assurde e paradossali.
Per chi si fosse perso la prima parte: (dis)avventure in Georgia – parte 1.
Una volta ripartiti alla volta del canyon, come per magia la pioggia si interrompe lasciando intravedere un flebile raggio di sole. Baffo, il nostro autista, come preso da un’euforia post-insolazione, inizia a fare un sacco di battute senza che io riesca a capirne neanche una e a ridere da solo. A un certo punto, dopo il mio ennesimo sorriso perplesso, ferma la macchina inchiodando in mezzo al nulla. Io penso, ecco qua, ora ci fa scendere perché non capisco una parola e non rido alle sue presunte barzellette. Prontamente esce dalla macchina, si dirige verso il bordo della strada, dove c’è una sorta di mini-fosso, ci fa cenno di seguirlo e salta giù. Ecco, è impazzito, abbiamo incontrato l’unico autista con manie suicide! Dopo neanche cinque secondi rispunta su a mezzo busto, ci fa nuovamente cenno di seguirlo e si dirige pericolosamente verso un albero che sembrava affacciarsi sul nulla. Decidiamo di andare a controllare cosa sta accadendo, saltando nel mini-fossato (che era davvero mini, tutta scena!) mentre Baffo continua a dirmi in russo “Айва! Айва!”. Si avvicina all’albero e coglie tre o quattro mele cotogne e me le porge con un sorriso. Ora capisco! Айва (pronuncia “ajva”) non è altro che il termine che indica la mela cotogna in russo e il nostro amato Baffo si era praticamente lanciato verso l’albero solo per farci assaggiare i suoi frutti. La gentilezza georgiana è davvero unica.

Una bella mela cotogna – Photocredits: Mimma Matteucci – Flickr
Una volta mangiate le succose mele cotogne, continuiamo il nostro percorso stradale tra curve prese in velocità, mucche, maiali, galline e pastori. A detta di Baffo abbiamo persino incontrato lo scemo del villaggio. Dopo qualche interminabile minuto, l’autista si ferma davanti a una strana costruzione in vetro e ci spiega che bisogna passare là dentro, fare un percorso di circa 2 km per poi arrivare al nostro bramato canyon Okatse. Lui ci avrebbe aspettato lì, mangiando mele cotogne con un altro signore baffutto, sbucato quasi dal nulla.
I 2 km in realtà erano molti di più, almeno un’ora di cammino, tra strade sterrate, le immancabili mucche e panorami da brivido, come questo:

La strada per il canyon
Arriviamo finalmente all’entrata del canyon, paghiamo (mi pare fossero 5 lari, poco più di 2 euro ma non ci metterei la mano sul fuoco) e ci avviamo verso la prossima avventura.
Ora, visto che “chi si somiglia si piglia”, sia io sia il mio compagno non amiamo molto le altezze. A me creano problemi le superfici instabili, a lui invece le altezze in generale. Bene, ci siamo ritrovati su una sorta di piattaforma di ferro traballante, a più di 100 metri d’altezza da terra. Lì, devo ammettere, ho avuto un po’ di paura. Dopo qualche passo tremolante, mi sono presto abituata agli scricchiolii della passerella e ho iniziato ad ammirare la natura circostante. Lo scroscio dell’acqua del fiume sottostante era quasi ipnotico, per non parlare del frusciare delle foglie mosse dal vento.
Il percorso non è lunghissimo, circa 700 metri. Non è neanche particolarmente impegnativo, quasi tutto in pianura se non fosse per qualche scalino qua e là. La cosa più bella, oltre al paesaggio magnifico, è la stata la solitudine completa. Eravamo da soli su quella passerella, noi e qualche maiale selvatico che ogni tanto grufolava e camminava sulle pendici della montagna accanto a noi.

Il nostro catwalk
Una volta arrivati alla fine della piattaforma, facciamo il percorso a ritroso e ci dirigiamo verso l’entrata principale. Ben presto ci accorgiamo che sta facendo buio e tornare a piedi in una strada di montagna che non conosciamo bene non è proprio il modo ideale per concludere la giornata. Chiedo alla signora nel gabbiotto se qualcuno può riportarci alla cupola di vetro, pagando ovviamente. Prontamente, spunta fuori un ragazzo con un fuoristrada da fare invidia a Big Jim. Saliamo sentendoci li mejo der Colosseo, convinti di aver fatto una scelta furba e di essere scaltri e intelligenti. Chiaramente abbiamo sottovalutato il karma disavventuriero, sempre pronto all’attacco. Avete presente nei parchi di divertimenti o nelle grandi fiere il cosiddetto simulatore? Quella stanza simile a cinema dove verrete sballottati qua e là per una ventina di minuti, mentre sullo schermo scorrono le immagini di una navicella spaziale? Ecco, per circa 15 minuti, in quella jeep, ci siamo sentiti così. La strada alternativa che abbiamo fatto era un dosso continuo, piena di salite e discese “ammazzamotori”, come le definirebbe Zio Paperone. Dopo aver dato almeno dieci capocciate al tettuccio della jeep e altrettante gomitate alla fiancata interna del veicolo, finalmente giungiamo alla cupola di vetro, doloranti e traballanti come ci avessero appena dato un calcio sulla sommità di una montagna e fossimo appena arrivati a valle rotolando.
Baffo ci ha accolti con il sorriso di un vecchio amico e ci ha riportati sani (più o meno) e salvi a Khoni, la nostra città-chimera di partenza. Da lì, la marshrutka ci ha riportati nella “nostra” città, Kutaisi, dove ci siamo goduti una cenetta a base di khachapuri e buon vino rosso corposo georgiano.
Ora, a un anno di distanza da questa (dis)avventura, cosa fanno i nostri eroi? Approfittano di uno sconto di Wizzair e prenotano un volo per la Georgia per metà novembre, ovviamente! Stavolta visiteremo la capitale, Tbilisi, sperando di poter fare anche una puntatina in Armenia.
Raccontatemi le vostre situazioni assurde e paradossali in viaggio!
Ho seguito con interesse questa tua (dis)avventura immaginandomi ogni tua singola descrizione.. ho un “baffo” tutto mio nella mente ora! 🙂 La mia più grande disavventura in viaggio è stato perdere il portafoglio con dentro TUTTO: soldi, carte, bancomat, documenti….a due giorni dal volo di rientro. Un’odissea! Se vuoi, trovi il mio racconto qui https://nelcuoredellascozia.wordpress.com/2016/09/21/documenti-smarriti-e-adesso/ 🙂
Ciao!
Beatrice
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La mia è solo una disavventura “light”, tu sei stata bravissima a non perderti d’animo e a risolvere tutto! Molto british l’impiegata delle Western Union che offre il tè 😀
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Ahaha si, sembrava la scena di un dilm 😉
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Bisognerebbe fare un film su questo viaggio! Non si dovrebbe ridere delle disavventure altrui, ma la scena della Jeep in cui venite sballottolati è unica 😉
Quindi tornerete presto in Georgia? Che bello, non vedo l’ora di leggere i post al tuo ritorno 🙂
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Sonola prima a ridere della mie disavventure, a volte mi capitano davvero cose assurde 🙂 Sì, a metà novembre ripartiamo, non vedo l’ora!
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Naaaa ma che figo è stato il tassista?? Sto piangendo dalle risate a immaginarmi la scena, di voi che pensate di aver trovato il tassista suicida! Un film
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Ahah penso non dimenticheremo mai il nostro amato Baffo!
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