
One man caravan di Robert Fulton
“One Man Caravan” è un libro d’altri tempi. Scritto nel 1937, il romanzo non è altro che un diario di viaggio, una bellissima avventura in motocicletta attraversando un mondo che ormai non c’è più e che fa sempre piacere riscoprire.
Ecco la mia recensione:
Il giovane Fulton, durante una cena, per impressionare una ragazza dichiara di voler fare il giro del mondo in motocicletta. Chi ne rimane piuttosto affascinato è però un altro commensale, un rappresentante dello storico marchio di motociclette Douglas, che decide di fornire tutto il necessario a Fulton per il suo viaggio.
A questo punto il giovane ventitreenne americano non ha più scuse per tirarsi indietro!
L'”Odissea a due cilindri” dell’autore parte così nel 1932 da Londra passando per Europa Orientale, Medio Oriente, subcontinente indiano, Sud-est asiatico e Cina, terminando 18 mesi dopo a New York. L’autore, macinando migliaia di chilometri, non si limita a descrivere i luoghi visitati, ma ci dà una panoramica della vita degli abitanti, dei loro usi e costumi e delle loro tradizioni.
Oltre allo stile pungente di Fulton, una delle cose che mi è piaciuta maggiormente è proprio la descrizione di un mondo che purtroppo non esiste più e che grazie a lui possiamo conoscere e scoprire.
Conosciamo così i turchi dei piccoli villaggi Sakchegeuzu e Karayeyitli, che non possono fare a meno di insultarsi e accusarsi a vicenda di essere dei banditi. O il ragazzo indiano orgoglioso di essere uno “studente fuori sede”, tanto da scriverlo sul proprio biglietto da visita. O i bambini nel deserto dell’Anatolia che, tutti fieri e contenti, riempiono il serbatoio della moto del proprio olio di senape.
Il resoconto di viaggio è molto avvincente, scritto con uno stile semplice e diretto. Se non fosse per le indicazioni temporali e per i nomi dei paesi visitati (nel libro si parla di Saigon o di Siam, riferendosi rispettivamente alle odierne Ho Chi Minh e Thailandia), sembrerebbe quasi di leggere un romanzo moderno. Il protagonista ha un’apertura mentale e un rispetto verso le altre culture non indifferenti, soprattutto se si considera il periodo e il retaggio cultarale coloniale dove Fulton è immerso. Una volta terminato il libro, queste sue caratteristiche mi hanno lasciato un quesito: al giorno d’oggi, siamo davvero più tolleranti? La tecnologia, i mass media e il sensazionalismo ci hanno resi più diffidenti verso il prossimo?

L’autore durante il viaggio, photocredits: Robert Edison Fulton Jr.
Concludo con una delle frasi che mi ha colpito di più: “Sarà un lungo cammino, fino a quando non comprenderemo il punto di vista dell’altro, la sua situazione e i suoi problemi.[…] Tuttavia, la conoscenza dell’altro potrebbe anche portare a un appiattimento dell’esistenza. Che succederebbe se l’uomo imparasse a conoscere l’altro, se sapesse come vive, come cammina, come parla, se fosse a conoscenza di quali alberi e rocce e case costituiscono la sua esistenza? Il mondo sarebbe un unico immenso giardino e l’erba del vicino non sarebbe più verde della nostra. Andrebbe smarrito il piacere di conoscere, in una terra lontanissima, un altro uomo, diversissimo eppure simile a te; andrebbe smarrita l’emozione che ti prende quando stringi la mano di uno sconosciuto e provi amicizia per lui; andrebbe smarrita l’inspiegabile malinconia, che è anche gioia, che ti prende quando devi separarti da un amico che hai appena conosciuto.”
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Ciao, grazie per seguirmi. Mi hai incuriosita con quieso libro che non conoscevo. Un saluto
Ps per poco non ci incrociavamo in quel di Bangkok!
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Grazie a te! Mannaggia, a saperlo prima 🙂 Ti è piaciuta Bangkok?
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